In questo strano ma evolutivo 2023 ho lasciato che tutti i miei pensieri rimanessero in un taccuino. Lo conservo gelosamente, nascosto tra i libri più consumati, nello scaffale dietro alla testiera del letto e riguardano una persona che spesso non si vede, ma si sente, e si domanda tante cose.
In questo periodo dell’anno ho deciso di tirarlo fuori e di rileggermi, dalla A alla Z, ripercorrendo dodici mesi che forse anche per te, com’è giusto che sia, sono stati una montagna russa di picchi da scalare e discese da tenere. Da madre penso che la frequenza dei cambiamenti d’umore, specialmente alla luce dell’attualità, non possa che essere altissima.
Ieri sera mi sono tornate sotto gli occhi le foto di Giulia e Filippo; due visi puliti, due bravi tosi del nord-est italiano, qualcuno direbbe. Famiglie a posto, Giulia purtroppo da qualche mese orfana di madre, ma brava nel portare avanti gli studi ed avere obiettivi chiari in testa.
I visi di Giulia e Filippo assomigliano a quelli di tanti amici con cui ho condiviso banchi di scuola, feste di compleanno, gite e pomeriggi in oratorio. Magari ogni tanto qualche stronzata nel fine settimana, su cui si è poi riso su senza malizia. Si cresce in un contesto sano, tra persone che ti amano e che desiderano il meglio per il tuo futuro, tra genitori e parenti che non ti fanno mai mancare nulla…fino a quando scatta quel clic.
Nella tua vita compare una persona, magari per la prima volta, per cui provi qualcosa di travolgente. Un’emozione cosi forte da farti pensare che prima di lei non fossi mai realmente esistito. Il tempo con gli amici, figurarsi in famiglia, diventa tempo sprecato. Esisti solo quando sei con lei, tutto il resto viene in secondo piano. È quello che è successo a Filippo, forse per un tempo anche a Giulia. Poi l’ingranaggio fa un secondo clic e le ruote girano insieme…o si separano. E se una continua a correre all’impazzata e l’altra non la segue…un bel casino.
Giulia e Filippo potrebbero essere un giorno i miei figli. Non scanso questo pensiero, cerco di viverci consapevolmente da tempo. Verrà un giorno in cui la mia voce o le mie azioni saranno per loro solo fastidio. Verrà un giorno in cui ricomincerò a trascorrere le notti in bianco aspettando tornino da qualche festa o appuntamento mascherato. Verrà un giorno in cui mi racconteranno meno, se non nulla, di quello che gli accade, nonostante glielo ricordi ogni giorno, dove sto quando ne avranno bisogno. E verrà un giorno in cui l’oceano delle emozioni li sovrasterà tanto da essere ad un pelo da qualche follia e forse…forse lì (mi auguro) mi chiameranno?
L’omicidio di Giulia mi ha inorridita tanto quanto voi ma tanti sono i se che continuano a fluttuare, rispetto a questa tragedia, nella mia testa. La tossicità nelle relazioni che permettiamo, la mancanza non solo di autostima, ma anche di rispetto ed autenticità nei rapporti che viviamo. Accettare i no non come dei fallimenti ma delle opportunità, pur se a volte difficili, di coltivare la propria forza interiore (e questo non solo nel subirli ma anche nel dirli!). L’avere il coraggio di denunciare fatti e azioni, anche quando non ne siamo direttamente interessati. Saper uscire dal proprio guscio, echarle cojones come si direbbe in spagnolo. Uscire dalla malata cultura italiana dell’apparenza e dare uno scrollone a tutta questa falsità del dire „ma era un bravo ragazzo/a, non me lo spiego“.
Vent’anni fa, complice l’inesperienza e un pò di rincoglionimento, mi ero invaghita di uno. Dico uno perchè adesso è per me pari ad un articolo ed un tempo indeterminati in cui vagheggiavo tra euforia e smarrimento pre università. Non era George Clooney, ma io avevo ancora così poca idea di me stessa e delle mie capacità da correre dietro ad ogni sua richiesta e cambio d’umore. Insomma, la mia prima cotta – definiamola cosi e basta .Era un periodo che con mia madre il dialogo non girava molto…e lei aveva già i suoi primi crucci con mia sorella.
Una sera mia madre mi vede seduta sul letto un pò turbata dopo l’ennesimo sms scarica barili di questo e mi fa: „Non sarebbe ora che lo mandassi a fanculo? Dimmi Alessandra, non sarebbe l’ora che gli scrivessi un gigantesco VAFFANCULO?“
Non le avevo raccontato quasi niente, ma vedeva quanto stessi male da settimane. Vedeva il mio dolore e soffriva nel vedermi portare questo fardello. Con le mani tremanti ho scritto un secco VAFFANCULO e la storia, come potete immaginare, non è andata fortunatamente più in là. Dopo essere tornato come un cane bastonato sui suoi passi abbiamo capito di non essere della stessa materia ed è stato, soprattutto per me, meglio così: da quell’sms a diciotto anni, la mia vita ha preso una piega ben precisa.
Vedere, accorgersi, rimanere visibili. È il lavoro che dovrebbe assumersi non solo un genitore, ma tutti noi, la comunità vera (non digitale!). Lo vedo in ogni mio giorno di madre: siamo troppo presenti materialmente ma poco spesso spiritualmente ed emotivamente, soprattutto con le nuove generazioni. Men che meno con le donne. I tempi sono evoluti, le opportunità sono migliorate, ma le situazioni, i commenti, le percosse verbali e fisiche, tristemente e spesso anche da donne a donne, non solo da uomini a donne, troppo presenti. Un giudizio che taglia, che ti discrimina, soprattutto agli albori di una scelta importante come quella di essere madre, con tutte le sue conseguenze.
Che cosa avremmo potuto fare per salvare Giulia? Che cosa avremmo dovuto vedere prima in Filippo? Rimane sufficiente gridare e denunciare o è arrivato finalmente il momento di farci un esame di coscienza e di rimboccarci le maniche per le nuove generazioni? Genitori E istituzioni?