Per chi un po’ mi conosce sa che trasferirsi a Monaco di Baviera è stato per me una scelta puramente lavorativa. Gli inizi non sono stati così semplici per un semplice fattore: ero sola. Ma sola veramente, senza nessun contatto o appoggio locale. Un prezzo alto che ho pagato, all’inizio, con qualche interesse. Ma da cui ho imparato qualcosa.
A maggio 2012, dopo due anni di lavoro in Alto Adige ho dovuto lasciare tutto e fare marcia indietro. Nonostante una lunga e ininterrotta ricerca di lavoro , non avevo trovato nulla che mi permettesse di continuare ciò che avevo iniziato. Cosi’ a malincuore, ho dovuto fare le valigie e riconsegnare le chiavi del mio miniappartamento.
Tornare a casa dei miei è stato, personalmente, un piccolo trauma; non perché con loro avessi e ho tuttora un ottimo rapporto. Ma per dover accettare un ritorno ad alcune condizioni che speravo di non dover piu’ rivivere.
Ho impiegato quel tempo per concretizzare il trasferirsi a Monaco di Baviera, e per preparare tutto ciò che sarebbe servito per tentare un nuovo inizio.
Ricordo di aver usufruito di quel tempo utile per tradurre il mio curriculum e aggiornare il mio portfolio progetti. Facendo un po’ di ricerca avevo capito che non comunicare in lingua tedesca mi avrebbe creato delle serie difficoltà per trasferirsi. Data anche la mia fortuna nell’aver studiato tedesco al liceo classico, ho deciso di riprenderlo in mano dalle basi.
Piccolo incipit: ovunque voi andiate la lingua locale è la vera chiave ad un processo di integrazione e allo sviluppo delle vostre vite all’estero. Evitate di prendere sempre le vie facili, di sedervi su un divano, di lasciar fare agli eventi o agli altri. Non saper farsi capire nella lingua locale è un tema “boomerang” che può avere riflessi non solo sul vostro sviluppo lavorativo. Per questo: fate delle vostre radici un salvagente, non una corazza.
Nonostante ciò avevo bisogno di un periodo ponte di recupero linguistico. Ogni giorno, dall’Italia, consultavo i siti delle scuole locali per cercare di capire quale avrebbe potuto garantirmi la preparazione piu’ appropriata.
Mi ero data mentalmente un tempo di prova: tre mesi. Tre mesi in cui avrei recepito la parte finale della mia disoccupazione, in cui dovevo studiare, cercare lavoro e fare colloqui. Tre mesi, insomma, del un po’ “o la va o la spacca”: o trovo lavoro o si rifanno le valigie e marcia atràs.
A fine maggio 2012 ho preso quindi una scelta radicale: ho pagato l’iscrizione per un corso di tedesco e un biglietto ferroviario di sola andata. Sono partita con una valigia piena di emozioni, e sono arrivata a Monaco una domenica sera di maggio, sola e nel diluvio universale.
Dopo sei ore di treno e venti minuti di metro ho raggiunto la casa di una coppia di musicisti che avevano messo una stanza da letto a disposizione dei corsisti della scuola.
L’impatto nel vedere il mio alloggio è stato alquanto sconcertante. La stanza era scarna, i mobili vecchi e polverosi, ragni e ragnatele al muro. L’interrato, un bunker, con un cucinotto vecchissimo e un bagno cieco impraticabile ed pieno di ragnatele. Non sapevo se sentirmi piu’ arrabbiata, o frustrata, o stanca…o forse semplicemente inorridita. Dopo una notte insonne il giorno seguente mi sono presentata alla scuola di lingua e ho subito segnalato il problema chiedendo uno spostamento.
L’ inizio del mio trasferirsi a Monaco di Baviera e’ stato quindi non dei migliori. All’inizio non sapevo quante volte sarei dovuta ricadere indietro. Quante volte avrei dovuto dirmi “non mollare”.
La direttrice della scuola non mi diede molta speranza all’inizio ma, dopo aver martellato per circa dieci giorni, sono stata spostata. Da Pasing mi trasferii ad un appartamento di una signora pensionata a Neuhausen, Rita, che tuttora ringrazio per la sua inaspettata gentilezza. Lì è nata la mia prima assoluta e vera amicizia a Monaco, Carolina, con cui ho condiviso tutti i primissimi momenti a Monaco. Ci hanno accomunato due cose: Valencia, la città in cui è nata e in cui ho vissuto un anno, e la nostra Laurea in Architettura.
Come me Carolina era arrivata per frequentare un corso di lingua nella stessa accademia e, in seguito, si era decisa nel trasferirsi a Monaco di Baviera grazie ad una proposta di lavoro in un’impresa americana. Il nostro incontro quindi è stato casuale ma prezioso per scambiarci informazioni ed impressioni rispetto studi e aziende tedesche del settore.
Sono rimasta da Rita per quattro settimane e i miei pomeriggi erano totalmente dedicati nel leggere le offerte di lavoro, preparare ed inviare curriculum, rispondere ad emails e partecipare ai primi colloqui personali e telefonici. Le mie prime esperienze di colloquio furono raccapriccianti; cercavo di presentarmi agli appuntamenti con dovuto anticipo e puntualmente calava una domanda che non capivo o un argomento da cui cadevo dalle nuvole. L’approccio tedesco all’architettura si presentava diverso da quello italiano, cosa che mi spingeva, dopo ogni incontro, a ricercare nuovi termini in rete e a capire di cosa stessero realmente parlando.
Dai e ridai, cerca e fai, a fine agosto, agli sgoccioli del mio ultimo assegno di disoccupazione, ebbi la mia prima conferma lavorativa. Finalmente, dopo nove mesi di ricerca, trasferirsi aveva avuto un senso. Ero a un metro sopra il cielo e non mi pareva vero, esserci riuscita. L’estate 2012 era trascorsa in maniera molto tormentata, con molti buchi nell’acqua e tormenti personali, sul fatto se avessi compiuto o meno la scelta giusta. Eppure intorno a me vedevo, leggevo, ascoltavo un cantiere continuo…e questo mi faceva tirare un respiro profondo e dire: aspetta ancora un attimo.
Con la mia prima esperienza lavorativa dovetti affrontare due cose: l’apertura della p.iva (il mio allora titolare non intendeva stringere con i propri collaboratori un rapporto di dipendenza) e la ricerca di una nuova stanza in cui alloggiare, dato che il contratto con la scuola di lingua a fine agosto sarebbe scaduto.
L’apertura della p.iva fu relativamente facile: grazie ad una collega preparai tutti i moduli necessari e li consegnai alla Finanzamt, ottenendo il numero per posta dopo circa un paio di mesi. Fino a quel punto il mio titolare (e forse vi stupirete) mi pagò in nero, i cui importi vennero poi documentati da fatture stese da me a postumi.
Con questa prima esperienza venni a contatto con i rudimenti della libera professione, imparando l’importanza di pre dichiarare mensilmente al Fisco tedesco nei primi anni tutte le proprie entrate ed uscite come spese professionali, sanitarie e assicurative. Diventai precisa e ordinata nel conservare fatture, scontrini, estratti conto e comunicazioni cartacee.
Mi iscrissi alla cassa di previdenza sanitaria statale (anche se poi scoprii come quella privata, soprattutto per i liberi professionisti, fosse molto piu’ vantaggiosa). Iniziai ad informarmi, in maniera generale, su modalità e vantaggi di iscrizione all’Ordine degli Architetti bavarese, a casse di previdenza pensionistiche private etc….
Insomma, furono mesi in cui, tra tutto quello che dovevo imparare sul e fuori dal posto di lavoro, impratichirmi con la lingua e cercare alloggio, mi friggeva la testa a piu’ non posso e a volte mi domandavo sul perchè di trasferirsi a Monaco di Baviera!
La ricerca della stanza fu invece veramente traumatica. Spesso entravo in appartamenti sporchi, bui, disordinati, in cui avevo a che fare con ragazzi molto piu’ giovani di me e in un’altra fase di vita, cui l’ordine delle priorità era distante anni luce dal mio. Aggiungendo il fatto che per miseri buchi (a prezzi mai visti durante la mia vita universitaria!) ero in concorrenza con decine di altre persone.
Spesso gli inquilini organizzavano “feste di accoglienza” per ammortizzare le visite in cui invitavano contemporaneamente una decina di papabili nuovi inquilini. L’atmosfera di concorrenza, pseudo informalità unita alla mia sensazione di spaesamento e un tedesco molto maccheronico mi fecero entrare in profonda crisi. Ogni visita ad un nuovo appartamento era una vera angoscia, avessi potuto mi sarei volentieri pagata un monolocale ma i prezzi di allora erano, da Berufsanfänger, da principiante, troppo alti.
Un pomeriggio di fine estate, con speranze ormai quasi vane, qualcuno guardò in giu’ e venni invitata a visitare una stanza nel quartiere di Borstei, in un meraviglioso Altbau Wohnung, appartamento storico. Feci subito una buona impressione alle due inquiline e ricevetti conferma il giorno successivo: la mia permanenza a Monaco poteva continuare e forse quei tre mesi non sarebbero rimasti tre ma sarebbero diventati qualcosa in piu’.
L’appartamento di Borstei fu la prima sistemazione per cui effettuai la Wohnanmeldung, il registro di domicilio, aprii un conto corrente tedesco, firmai un contratto telefonico per liberi professionisti.
In quei due anni lasciai due studi per iniziare un’esperienza significativa di project management nel settore retail. Buttata in bocca al cantiere, anzi ai cantieri, conquistai fiducia nel gestire i progetti autonomamente e il mio tedesco miglioro’, soprattutto grazie al supporto dei miei colleghi, in maniera esponenziale.
In particolare gradì moltissimo come i miei titolari mi dessero carta bianca, dopo un tempo medio breve, nel gestire non solo il progetto quasi dalla A alla Z, ma anche nell’incontrare i clienti e sviluppare con loro idee e soluzioni. Agli inizi mi risultò molto difficile buttarmi. La formazione e forma mentis italiana avevano un pò danneggiato la mia autostima, e dovetti darmi tempo e ricevere piu’ di qualche feedback positivo per prendere quota.
Con gli occhi di poi ci rido solo su. Sulla febbre che mi saliva, sul mal di pancia, sullo stress da prestazione. E poi sul sarcasmo e l’arroganza di qualche titolare, sul pretendere che sapessi già tutto dai primi momenti, sugli istanti in cui ero così in tilt da non connettere una parola di tedesco neanche per sogno. Non è stata facile ma ne è valsa la pena. Se non fossi emigrata, professionalmente avrei raggiunto in vent’anni quello che ho conquistato in dieci. Almeno adesso la penso così.
In questi mesi ho ricevuto molte richieste, da architetti neolaureati sul trasferirsi in Germania. Soffro nel vedere che in dieci anni la situazione nel mio paese non è ancora migliorata e che tanta potenzialità esca (e proliferi fuori!) dal Bel Paese. Personalmente posso solo consigliare di partire con una minima conoscenza della lingua, una minima sussistenza economica e un biglietto di sola andata. Sembra poco, ma è tanto. Quello che mi è bastato, in parte, per riiniziarmi da qui.