Il collega bavarese

Otto anni fa, appena arrivata a Monaco, mi si sono presentate – come in tutte le esperienze expat – alcune nuove sfide. Una tra le piu’ istruttive e’ stata sicuramente la mia integrazione nel mondo del lavoro.

Come molti sanno, Monaco e’ una citta’ in cui il lavoro non si fa cercare piu’ di tanto, e il tuo primo processo di integrazione inizia proprio li’, tra i colleghi di lavoro. Di colleghi ne ho avuti di tutti i tipi: dai neo-laureati a quelli pre-pensionamento, workaholic come viveurs. Tutti, superiori o colleghi, mi hanno donato qualcosa di diverso e, dopo un po’ di esperienze, posso dire di avere sufficientemente masticato il carattere e l’indole bavaresi (che non e’ quella di tutti i tedeschi, mi raccomando!).

Quindi ho pensato di scrivere un po’ su di loro, casomai vi capitasse di averci a che fare, e mi piacerrebbe capire se alcune caratteristiche le avete rilevate pure voi in altri contesti.

Il collega baverese e’ solito:

  • Apprezzare se non dire divorare qualsiasi cosa commestibile tu porti al lavoro (compleanno, natale, anniversario etc.). Nel caso in cui rimangano alcune briciole o resti, spariscono al massimo nel giro di qualche ora. Precisiamo una cosa: spesso la mossa d’attacco alla pietanza puo’ risultare un po’ primitiva ma poi il viso gli si illumina di una certa smorfia di riconoscenza, cosa che puo‘ trasmettere alquanta soddisfazione.
  • Illuminarsi e dimostrare un certo interesse non casuale sul fatto che tu sia italiano, soprattutto se proveniente da una localita’ marina. Li’ comincera’ a chiederti tutti i contatti e le informazioni possibili o, se i suoi viaggi non si sono fermati al Lago di Garda, a sciorinarti tutte le sue competenze TripAdvisor per le prossime due settimane. Scoprirete che ama, quanto noi italiani, godersi la bella vita, ancor piu’ di quanto crediamo.
  • Arrivare in azienda al canto del gallo e scappare come una lepre allo scoccare delle otto ore di lavoro. Il contratto fa testo e il monte ore firmato deve, se non per motivi personali (accumulare ore extra per il cosidetto “Gleitzeit”) essere mantenuto entro i limiti. Parola d’ordine: a meno che l’azienda non sia mia, lascio che si ammazzi qualcun altro.
  • Essere irraggiungibile durante le ferie. In Baviera si ha una mentalita’ per cui le ferie sono sacre e nulla, nemmeno un’emergenza nucleare, li inibisce nello spegnere il cellulare aziendale. Molto spesso la disconnessione psicofisica scatta gia’ ad alcuni giorni dall’inizio delle ferie…li’ bisogna giocare con loro di dovuto anticipo.
  • Non perdersi nemmeno un Oktoberfest. Che sia al classico Wiesn o presso locazioni private, bisogna esserci e darci dentro…a tutta birra! Se il giorno seguente (specialmente se venerdi’) si e’ preso ferie e tu sei li’ che tieni gli occhi aperti con gli stuzzicadenti…abbi pazienza e impara.
  • Parlarti per ore di un argomento di cui e’ specialista. Normalmente: itinerari escursionistici, giardinaggio, do it yourself, tutto sapientemente studiato fino all’ultimo dettaglio. Ma sorprendentemente: sono anche dei gran pettegoloni, quindi attenti a non scendere troppo in commenti su un altro collega, potrebbe ritorcersi contro di voi.
  • Avere quasi sempre qualcosa di programmato per il fine settimana. Il lunedi’ nella pausa caffe’ hanno sempre qualcosa da raccontare. Che sia su una localita’ sciistica, su un ristorante o su una breve escursione fuori porta, i bavaresi amano scappare dal caos urbano e programmare weekend su weekend senza sosta. E questo vale anche nella vita privata: per vederli bisogna fissare una data con dovute settimane di anticipo.
  • Scomparire all’ora di pranzo. Alle 12:00, nelle fabbriche alle 11:30, suona il gong o richiamo della gallina che e’ in loro. I bavaresi hanno le sveglie quotidiane puntate una, due ore prima di quelle italiane e quando la pancia chiama…chi s’e’ visto s’e’ visto. Si alzano e corrono in cucina/ mensa senza stare li’ tanto ad aspettarti. Quindi hai due alternative: o ti adatti o mangi, eccezioni parlando, in dolce solitudine.
  • Sostituirsi, inconsciamente, al Babel o al Pons. Su questo punto posso solo ringraziarli, perche’ non si fanno scappare quasi nessuna parola che io abbia pronunciato o scritto male. Il buon collega tedesco ama correggerti e, se all’inizio ti puo’ sembrare un po‘ arrogante, e’ in realta’ un grande aiuto e occasione per il perfezionamento della tua lingua, soprattutto in ambito professionale.
  • Andare improvvisamente in black-out davanti agli imprevisti: la pressione temporale gli gioca brutti scherzi, specialmente se sul tavolo gli si cambiano velocemente le carte. Il problema e’ in parte educativo, in parte culturale. Diciamo che davanti a proposte innovative o troppo anticonformiste ti guardano in uno stato agitatorio – confusionale. Salvarli dall’imprevisto li lascia basiti, il ringraziamento rimane pero’, nello stato di shock, una cosa che arriva piu’ tardi nel tempo.
  • Fare resistenza al nuovo. Amano la routine perche’, umanamente, crea un certo sentimento di sicurezza e stabilita’. E a loro le cose stabili e ripetitive piacciono. D’altro canto pero’ invidiano, senza ammetterlo, chi nella vita sa lanciarsi in nuove sfide mettendo a repentaglio le proprie sicurezze. La parola “rivoluzione” non e‘ nel loro vocabolario, neppure storico.
  • Perdere la testa per tutto cio’ che e’ motorizzato. Il fascino per le ruote rimane per loro ancestrale, soprattutto se si parla di auto e moto d’epoca. Una mia ex capa, anni fa, acquisto’ e fece restaurare una Fiat 500 favolosa e spese una miniera di soldi nel farla immatricolare. E il suo socio mi diverti’ nel farmi sapere che era un fan sfegatato di una storica ditta di moto per cui mio nonno aveva lavorato svariati anni. Ruote e motori, specialmente vintage, gli fanno girare letteralmente la testa!

Allora, vi ritrovate su questi punti? O vorreste aggiungerne qualche altro? Adesso lancio a voi la palla…

Fonte immagine iniziale: Pixabay

Una replica a “Il collega bavarese”

  1. […] un po’ mi conosce sa che trasferirsi a Monaco di Baviera è stato per me una scelta puramente lavorativa. Gli inizi non sono stati così semplici per un semplice fattore: ero sola. Ma sola veramente, […]

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