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Incontrare una nonna a Monaco di Baviera

“Papà, quando viene di nuovo la Pina?”

Mia figlia D. aveva sei anni quando fece quella domanda, seduta fiera sulla sedia col cuscino del divano sotto il sedere.

Una domanda semplice, detta con quella naturalezza imbarazzante che solo i bambini possiedono. Imbarazzante perché noi adulti ci stavamo ancora chiedendo se fosse appropriato, se non fosse troppo presto, se avessimo il diritto di “disturbare” quella signora che stava prendendo il caffè in una domenica di Aprile, seduta con tutti noi  a tavola.

Signora che per di piu’ avevamo conosciuto solo poche settimane prima in un parco. Signora che sarebbe di lì a poco diventata la nostra nonna a Monaco di Baviera.

Ma i bambini vedono cose che noi non vediamo piu’.

Oggi, tre anni dopo, D. sa fare il sugo di pomodoro. Non una ricetta qualsiasi: il sugo di Pina.

“Devi soffriggere uno spicchio d’aglio nell’olio, ma prima va schiacciato col mestolo” mi spiega con serietà, “e poi aggiungi il pomodoro e l’acqua lentamente “. Quando lo prepara, nella nostra cucina entra un pezzo di Calabria, di Italia, di calore.

Questa è la storia di come un incontro casuale ha trasformato la nostra vita. E di come questa trasformazione potrebbe essere replicata per milioni di famiglie.

Il paradosso di Monaco di Baviera

Viviamo a Monaco di Baviera da anni. Seicento chilometri ci separano dai nostri genitori in Italia.

Quando siamo arrivati, già con un figlio, la Germania ci sembrava il paradiso delle giovani coppie: sgravi fiscali concreti (quasi il 10% in meno di tasse se ti sposi), verde pubblico ovunque, sicurezza, parchi gioco ed iniziative per famiglie ad ogni angolo.

Qui i bambini vanno a scuola da soli, ed è bellissimo. Anche se per andare in bici devono prima prendere un patentino alla terza elementare.

Un sistema che funziona. Un posto dove mettere su famiglia.

Poi è nata la nostra seconda figlia. Ed entrambi lavoriamo, come la maggior parte delle coppie moderne. Sia per scelta ideologica, sia per necessità economica. Monaco è una delle città più care d’Europa.

Ed è lì che il sistema perfetto ha iniziato a mostrare le sue crepe:

  • Crepa numero uno: nessun posto al nido. Poi nessun posto all’asilo. Liste d’attesa infinite, burocrazia kafkiana, e la sensazione netta che servano più conoscenze che diritti per trovare un posto
  • Crepa numero due: i costi. Le babysitter private a Monaco costano dai 20 ai 25 euro l’ora. Per una famiglia significa fare scelte: o lavori di meno, o rinunci a tutto il resto. O ti arrangi
  • Crepa numero tre: il modello culturale. In Baviera persiste un modello patriarcale sottile ma pervasivo. Ci si aspetta ancora che sia la donna a rimanere a casa, a ridurre le ore, a sacrificare la carriera. Mia moglie ha sentito questa pressione ogni giorno

    Intendiamoci: la Baviera e Monaco, sono un ottimo posto dove crescere i figli. Ma quando sei lontano dalla tua rete familiare, quando non hai i nonni dietro l’angolo, ogni difficoltà si moltiplica. E la nostalgia cresce con gli anni.

vita in città senza nonni

L’incontro con la nostra nonna a Monaco di Baviera

Pina l’abbiamo incontrata in un parco. Uno di quei pomeriggi in cui porti i bambini fuori perché in casa impazziscono, e tu con loro.

Era seduta su una panchina, osservava i bambini giocare con quello sguardo che riconosci subito: lo sguardo di chi ha cresciuto figli, di chi sa leggere i litigi e le alleanze, di chi sorriderebbe volentieri se solo ci fosse qualcuno con cui condividere quel sorriso.

Calabrese. A Monaco da vent’anni. Felice della sua vita, e i figli, ormai grandi con i loro bambini, vivevano lontano. Li vedeva ogni tanto, troppo poco.

Abbiamo iniziato a parlare. Dell’Italia, ovviamente. Di Monaco, del tempo, dei bambini. Cose normali. Ma c’era qualcosa di più profondo, qualcosa di impalpabile che ci univa.

Era la nostalgia della famiglia. Ma vissuta da direzioni generazionali opposte.

Noi guardavamo all’insù: ci mancavano i nostri genitori, quella rete di sicurezza che avevamo dato per scontata quando eravamo giovani. Pina guardava all’ingiù: le mancavano i suoi nipoti, figli, quella volontà di essere d’aiuto e presente, del ruolo.

Due solitudini speculari.

La naturalezza dei bambini

Dopo quel primo incontro, ne sono seguiti altri. Un caffè a casa nostra, quattro chiacchiere, qualche storia. Pina raccontava della Calabria. I bambini giravano intorno, prima timidi, poi sempre più coinvolti.

E un giorno, quella domanda: “Quando viene di nuovo la Pina?”

Non stavano chiedendo dell’amica di mamma e papà. Stavano chiedendo della loro nonna acquisita. 

Mia moglie ed io ci siamo guardati. Abbiamo capito al volo cosa stavano davvero chiedendo. E abbiamo capito che forse Pina stava aspettando la stessa cosa.

Abbiamo proposto, con un po’ di imbarazzo: “Ti andrebbe di stare qualche ora con i bambini? Qualche pomeriggio, quando abbiamo bisogno. Ovviamente ti pagheremmo.”

La risposta di Pina è stata immediata: “Ma quale pagare! Sarebbe un piacere!”

Abbiamo insistito. Perché questo era importante: volevamo che fosse un rapporto  dove tutti davano e ricevevano.

Alla fine abbiamo trovato un accordo. Noi avevamo qualcuno di cui ci fidavamo. I bambini avevano la loro “nonna Pina”.

Cosa è successo dopo

Sono passati tre anni. Pina fa parte della nostra famiglia allargata.

Non è solo babysitting. È molto di più.

D. ha imparato a fare il sugo. Ma ha anche imparato parole in dialetto calabrese che io non conosco. Ha imparato che esistono modi diversi di fare le cose, che la ricetta di Pina non è uguale alla ricetta della mamma o della nonna in Veneto, ma entrambe sono giuste.

Nostro figlio più grande, quando gioca troppo a fortnite e lo dobbiamo richiamare (se non staccare il cavo), a volte si dice da solo “scemunito! Cosi diventerò se gioco troppo”. Senza biasimare noi (miracolo ? No – buone vecchie maniere che approviamo).

Pina viene saltuariamente. A volte di più se abbiamo bisogno. Non segue un programma educativo Montessori, non fa attività strutturate. Fa quello che facevano i nonni di una volta: stare con loro. Gioca, cucina, racconta, rimprovera quando serve, coccola quando serve.

Noi, come coppia, abbiamo ritrovato spazi che credevamo perduti. Una cena fuori. Un cinema. Una passeggiata da soli. Piccole cose che tengono vivo un matrimonio quando i figli fagocitano tutto lo spazio e il tempo (e pure i soldi).

E Pina? Pina ha ritrovato una nuova routine.  Riceve gli abbracci dei bambini quando arriva. È invitata ai compleanni a volte, ai momenti importanti.

Una volta mi ha detto: “Sapete, per me sono quasi nipoti veri.”

Nonna a Monaco di Baviera e nipote trascorrono tempo insieme

Il problema è piu’ grande di noi

Questa storia è bellissima. Ma è anche fortunata. Incredibilmente fortunata.

Abbiamo incontrato Pina per caso. In un parco. In una città straniera.

Ma quante famiglie vivono la nostra stessa situazione senza trovare la loro Pina?

I numeri parlano chiaro:

  • In Germania ci sono oltre 18 milioni di persone sopra i 65 anni
  • Solo il 45% di loro vive vicino ai propri nipoti
  • Il 34% dei pensionati tedeschi dichiara di sentirsi solo regolarmente
  • Dall’altra parte, il 63% delle famiglie con bambini sotto i 6 anni non trova posto al nido
  • Il costo medio di una babysitter nelle grandi città tedesche è di 18-22 euro l’ora
  • Il 71% delle madri in Germania riduce l’orario lavorativo dopo la nascita del primo figlio

E non è solo un problema tedesco. È un problema europeo. Mondiale.

In Italia:

  • 7 milioni di nonni si prendono cura regolarmente dei nipoti, ma 2 milioni di famiglie giovani vivono lontane dai genitori
  • Il costo di una babysitter nelle grandi città va dai 10 ai 15 euro l’ora
  • Il 40% degli anziani vive solo o con il solo coniuge

Abbiamo una generazione di anziani in salute, con tempo libero, con esperienza, con voglia di essere utili. E abbiamo una generazione di giovani genitori senza rete, senza supporto, economicamente sotto pressione.

Due solitudini che potrebbero abbracciarsi a vicenda.

una nipote abbraccia la sua nonna a Monaco di Baviera

E se potessimo replicarlo?

Da quel giorno in cui D. chiese “quando viene la Pina”, non ho smesso di pensarci.

E se esistesse un servizio che mette in contatto famiglie e anziani disponibili a fare da “nonni acquisiti”?

Non parlo di un’agenzia di babysitting tradizionale. Parlo di qualcosa di diverso:

Un servizio dove:

  • Gli anziani sono selezionati non solo per affidabilità ma per umanità, esperienza, desiderio di creare relazioni
  • Le famiglie cercano non un servizio orario ma una figura di riferimento per i loro figli
  • Il compenso è dignitoso ma accessibile (10-12 euro l’ora invece di 20-25)
  • Gli abbinamenti sono fatti con cura, favorendo vicinanza geografica e culturale
  • Non si tratta di prestazioni occasionali ma di relazioni continuative
  • Ci sono momenti di formazione (primo soccorso, sicurezza) ma senza snaturare il ruolo di “nonno”

I vantaggi sarebbero evidenti.

Per le famiglie:

  • Costi ridotti 
  • Figure di riferimento stabili e affidabili
  • Trasmissione di valori, tradizioni, esperienze di vita
  • Maggiore flessibilità (gli anziani hanno più disponibilità oraria)

Per gli anziani:

  • Integrazione del reddito pensionistico
  • Senso di utilità e ruolo sociale
  • Attività che mantiene attivi fisicamente e mentalmente
  • Affetti e relazioni significative
  • Riduzione della solitudine

Per la società:

  • Ricostruzione del tessuto sociale intergenerazionale
  • Riduzione dei costi sociali legati alla solitudine degli anziani
  • Valorizzazione dell’esperienza invece che ghettizzazione dell’età

Le sfide (e come affrontarle)

Ovviamente non è semplice. Ci sono sfide concrete:

  • Sfida 1: Fiducia e sicurezza. Lasciare i propri figli a qualcuno è sempre difficile. Serve un processo di selezione serio: controlli di background, referenze, colloqui approfonditi, formazione obbligatoria su primo soccorso e sicurezza.
  • Sfida 2: Aspettative diverse. Non tutte le famiglie cercano la stessa cosa, non tutti gli anziani offrono lo stesso approccio. Serve un matching accurato e un periodo di prova reciproco.
  • Sfida 3: Questioni legali e assicurative. Serve un framework chiaro: contratti, assicurazioni, gestione dei pagamenti, contributi (dove necessari). Non può essere tutto informale.
  • Sfida 4: Scalabilità con umanità. Il rischio è diventare un’ennesima piattaforma fredda. Serve mantenere la dimensione umana anche crescendo.

Ma queste sfide sono superabili. Perché il bisogno è reale, da entrambe le parti.

Il momento è adesso

Viviamo in un’epoca paradossale: siamo iperconnessi digitalmente ma sempre più isolati umanamente. Le famiglie si frammentano geograficamente per necessità lavorative. Gli anziani vivono più a lungo e in salute, ma spesso ai margini.

Nel frattempo, i sistemi di welfare faticano. Gli asili nido non bastano. I costi del lavoro di cura esplodono. Le donne sono costrette a scegliere tra carriera e famiglia.

Eppure la soluzione è sotto i nostri occhi. È seduta su una panchina in un parco. Si chiama Pina, o Giuseppe, o Maria, o Hans.

Persone che hanno tempo, esperienza, amore da dare. Che chiedono solo di essere viste, valorizzate, remunerate dignitosamente.

Dall’altra parte ci sono milioni di famiglie come la nostra. Che lavorano entrambi, che amano i propri figli, che farebbero qualsiasi cosa per loro. Ma che sono sole.

L’invito

Questa non è solo la storia di come abbiamo trovato una babysitter. È la storia di come abbiamo ritrovato qualcosa che pensavamo perduto: il senso di comunità, di famiglia allargata, di intergenerazionalità.

È la storia di come, a volte, le soluzioni più innovative sono in realtà antichissime. I nonni che si prendono cura dei nipoti non è una novità: è la normalità da millenni. È il capitalismo moderno ad averci fatto credere che ogni servizio debba essere professionalizzato, mercificato, standardizzato.

E se invece recuperassimo il meglio del passato con gli strumenti del presente?

Io credo sia possibile. Credo che esistano migliaia di Pina là fuori, e migliaia di famiglie che aspettano di incontrarle.

Credo che creare ponti tra queste solitudini speculari non sia solo un buon business (che lo è), ma sia anche un atto di ricostruzione sociale.

Credo che i miei figli, quando saranno grandi, ricorderanno il sugo della Pina. E forse lo insegneranno ai loro figli. E in quel gesto ci sarà la memoria di un incontro casuale in un parco di Monaco, che ha cambiato tutto.

Per questo caro lettore ti faccio un appello:

Se sei un investitore e vedi il potenziale di questo modello, parliamone. Non cerco solo capitali, cerco persone che credono che il business possa creare valore sociale reale.

Se sei una famiglia che vive questa solitudine, che lavora senza rete, che vorrebbe trovare la sua Pina, sappi che non sei sola. E che forse, presto, ci sarà un modo per incontrarsi.

Se sei un anziano che ha tempo, esperienza, voglia di essere utile, sappi che là fuori ci sono bambini che hanno bisogno di te. Non come dipendente, ma come nonno. Con tutto il rispetto, il compenso e l’affetto che meriti.

La soluzione è più semplice di quanto pensiamo. Dobbiamo solo avere il coraggio di connetterla.
Questa è una storia vera. Pina esiste davvero. I numeri sono reali. Il bisogno è urgente. Il servizio ancora no. Ma potrebbe esserlo presto.

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