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Trasferirsi a Monaco di Baviera con due bambini piccoli

Ciao, sono Marta, una mamma italiana migrata a novembre del 2022 a Monaco di Baviera con due bambini piccoli.

In questo mio primo articolo voglio farvi conoscere come dall’Italia una famiglia può valutare un trasferimento in questa città tedesca e quali sono le situazioni e le considerazioni che ci hanno interessati.

Diventare genitori in Italia

Vivevamo in Italia, ci eravamo sposati da neanche un anno e finalmente, dopo anni di totale precarietà lavorativa, firmavo il mio primo contratto a tempo indeterminato.

Sorrido al solo pensiero di quanto mi sentissi sollevata ad avere un contratto da dipendente a trenta ore, con ferie, malattie e tanto altro pagato!

Al tempo stesso provo una certa tenerezza verso quella me di cinque anni fa che faceva molta fatica ad uscire dallo stato mentale da partita iva, abituata a fare di tutto e di più per arrivare a fine mese e che doveva spesso scendere a compromessi per iniziare la sua vita fuori casa (accettando ad esempio di non aver potuto contribuire al 50% alle spese di affitto con il suo compagno).

Avevamo anche deciso di lasciare Milano (traslocavamo per la terza volta in due anni) per tornare alla nostra piccola città di origine, per riavvicinarci al mio lavoro (si, io pendolavo da Milano alla provincia) e alle nostre famiglie.

Poco dopo il trasloco…due linee su un test di gravidanza ci dissero che a distanza di nove mesi saremmo diventati tre!

Poco prima avevo affrontato un test per accedere ad un master di primo livello alla Statale di Milano, per migliorarmi come terapista e continuare a studiare.

Qualche mese dopo, l’8 marzo 2020, l’Italia entrava in lockdown.

Nell’estate dello stesso anno nasceva mio figlio, i suoi primi sette mesi di vita li potemmo trascorrere insieme (come professionista sanitaria avevo diritto a qualche mese di maternità in più) e, nel mentre, proseguivo e concludevo il mio master.

La situazione lavorativa di mio marito iniziava, purtroppo nel frattempo, a vacillare: la multinazionale per cui lavorava cominciava a licenziare molte persone per rientrare nei conti, il lavoro si accumulava e l’ambiente peggiorava.

Sentivamo il bisogno di fare qualcosa, di cambiare la nostra situazione, ma con un certo livello di consapevolezza. Conti alla mano e con una manciata di desideri condivisi ed espressi insieme decidemmo per la via del suo licenziamento e dell‘iscrizione ad un MBA (Master in Business Administration).

Era la prima volta in cui ero io a portare i soldi a casa. Con un bambino di appena un anno e una famiglia non sempre disponibile a coprire tutte le ore di assenza da nostro figlio. Per capire quante ore di aiuti e quanti soldi potessimo investire in una tata, mio marito ed io ci eravamo messi scrupolosamente a pc a calcolare numero il numero di ore in cui lavoravo, quante ore stavo fuori casa e ovviamente i possibili guadagni.

Mi vengono ancora i brividi nel pensare ai risultati di quel foglio di calcolo.

Scoprivamo che per lavorare all’incirca una quarantina di ore scarse (trenta ore da dipendente e dieci ore a partita iva), dovevo stare fuori casa almeno sessanta ore in una settimana: vivevamo in un paese, per mettere insieme quella quarantina di ore a settimana mi dividevo su tre sedi di lavoro (la più vicina a 20 chilometri da casa). Inutile dire che con quello che guadagnavo mai avrei coperto le spese di una tata, in regola e full-time.

Nella totale instabilità della nostra vita, a metà del MBI, iniziava anche la nostra seconda gravidanza.

Il momento giusto per avere un bambino non è mai quello giusto o forse lo è sempre.

Non sapevamo dove mio marito sarebbe andato a lavorare al termine del master ma in lui si delineava l’idea di provare una realtà start-up.

Faceva vari colloqui, sia in Italia che all’estero perché non sapeva cosa voleva fare e cosa desiderava per la sua famiglia ma non aveva una “preferenza geografica”.

Anche questa fu una doccia fredda.

In Italia le start-up non sono considerate come “aziende” o “imprese di un certo livello” e le offerte che riceveva, per il suo background lavorativo, erano ridicole.

In confronto a quei colloqui, quello a Monaco di Baviera sembrava un’utopia: non gli offrivano solo un lavoro ma anche un sostegno alla famiglia e al ricollocamento lontano da casa.

Dire che abbiamo scelto Monaco è un eufemismo.

Dovevamo sostanzialmente scegliere se:

  • rimanere dove eravamo ed essere genitori presenti per due ore al giorno dal lunedì al venerdì
  • spostarci ed avere la possibilità di (veder) crescere i nostri figli

Per noi che volevamo dare priorità all’essere genitori, Monaco è stata l’unica scelta plausibile.

una giovane famiglia in casa tra gli scatoloni: si avvicina il momento del trasloco.
Traslocare in famiglia, una sfida ancor piu’ grande se verso un paese straniero. Foto di cottonbro studio su Pexels.com

Il Trasferimento

Traslocare all’estero con una bambina di un mese e mezzo e uno di due anni e quattro mesi è fattibile?

Si, soprattutto se vuoi indurre il parto! Preparare gli scatoloni per il trasloco è stata un’ottima strategia per far nascere mia figlia perfettamente a termine.

No, se pensi al carico emotivo e mentale che questo comporta.

I primi mesi a Monaco sono stati difficili: i bambini erano inseriti in kitafinder ma fino all’estate nessuno ci ha chiamati, io non conoscevo il tedesco e non potevo studiarlo con due piccolissimi al seguito.

Ritrovarsi dall’oggi al domani senza nessun tipo di rete è stato destabilizzante. Potevamo fare affidamento solo su noi stessi, lo spazio di coppia era praticamente annullato, riuscire a capire come far riconoscere il mio titolo di studi universitario sembrava un’impresa epica.

Ma tutto questo è durato appena tre o quattro mesi, poi i pezzi sono tornati al loro posto.

Prima di trasferirmi, grazie a mia mamma (alla faccia dei Boomer), ho trovato varie pagine IG (italiane a monaco, una mamma in baviera e ovviamente the italian pot con questo magico blog) dalle quali reperivo qualsiasi tipo di informazioni.

Grazie a questo blog abbiamo scoperto di dover fare subito le domande su kitafinder e che esiste l’associazione mama lernt deutsch per imparare il tedesco con i bambini al seguito, per esempio.

Grazie ad una mamma in baviera ho partecipato al suo primo aperitivo fra mamme italiane a monaco e lì ho trovato quella che ormai è più che una cara amica (ma anche collega) che mi ha dato tutte le informazioni per il riconoscimento del mio titolo qui in Germania.

Grazie a italiane a monaco sapevamo i vari eventi in città e con mio marito decidevamo se e a quali partecipare.

Insomma, in poco tempo ho ritrovato una forma di equilibrio. Avevamo di nuovo una rete di amici che ormai sono quasi famiglia, ho trovato il modo di cominciare ad imparare il tedesco e ho avviato le pratiche per il riconoscimento del titolo.

Monaco ci offriva (e continua tutt’ora a offrire) sempre tante cose diverse da fare e scoprire. Ad oggi tutti e due i nostri figli sono inseriti in un kindergarten e in un kinderkrippe.

Una famiglia con due bambini passeggia all'aperto dopo la pioggia.
Insieme all’estero, un viaggio che richiede nella famiglia forza e coesione. Foto di Emma Bauso su Pexels.com

Quindi la rifarei questa scelta?

Ad oggi vi direi di si, anche se mi manca ancora un pezzo del puzzle (per me assolutamente importante) cioè un mio ricollocamento lavorativo. In ogni caso qui so che potrò essere madre e lavoratrice con un marito che avrà la possibilità di essere un padre presente per i suoi bambini. Ed è questo che stavamo cercando.

Articolo Guest di Marta S.

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